Muoversi 4 2023
3

UNA CALDA ESTATE

UNA CALDA ESTATE 

di Gianni Murano

Gianni Murano

Presidente
Unione Energie per la Mobilità - unem

L’estate appena finita non è stata particolarmente calda solo dal punto di vista atmosferico, ma anche da quello dei prezzi del petrolio, e dei prodotti raffinati, che hanno raggiunto i livelli massimi dell’anno, come non succedeva dal novembre 2022. Un rimbalzo inaspettato almeno fino al mese di giugno, ma chiaramente effetto degli annunci di luglio di Arabia Saudita e Russia su nuovi tagli alla produzione e delle indicazioni sull’andamento dei consumi globali di benzina e distillati, in particolare jet fuel. Come dovrebbe ormai essere chiaro, i prezzi petroliferi risentono di quanto accade sui mercati internazionali che, mai come in questo periodo, sono dominati dalle aspettative sulla domanda e sull’offerta di petrolio e di prodotti finiti.

L’ulteriore annuncio, arrivato a inizio settembre, di un loro prolungamento per tutto il 2023, è stato decisivo per spingere il barile verso quota 100 rispetto ai 74-75 di maggio e giugno: un “giochetto” che ha permesso ai paesi Opec Plus di aumentare le loro entrate petrolifere di 20 miliardi di dollari nel solo periodo luglio-settembre

Proprio a valle degli annunci dei tagli volontari decisi da Arabia Saudita e Russia per un totale di 1,3 milioni b/g, che si sono andati a sommare agli altri 3,7 milioni b/g decisi in sede Opec Plus tra il novembre 2022 e l’aprile 2023, si sono verificati gli importanti aumenti dei prezzi che hanno invertito un trend ribassista che aveva caratterizzato la prima parte dell’anno. L’ulteriore annuncio, arrivato a inizio settembre, di un loro prolungamento per tutto il 2023, è stato decisivo per spingere il barile verso quota 100 rispetto ai 74-75 di maggio e giugno: un “giochetto” che ha permesso ai paesi Opec Plus di aumentare le loro entrate petrolifere di 20 miliardi di dollari nel solo periodo luglio-settembre.

Il mercato petrolifero, quindi, se da un lato ha oramai consolidato una maggiore flessibilità da un punto di vista delle nazioni produttrici – circa il 50% arriva da Paesi non Opec Plus – dall’altro evidenzia come sia proprio il cartello costituito dall’Opec Plus ad avere in mano la capacità di guidare e indirizzare i prezzi (si veda l’analisi di Lisa Orlandi a pag. 7).

La notizia dei tragici attacchi in Israele non può non riportare alla mente la guerra del Kippur del 1973, se non altro per una singolare coincidenza temporale: il 6 ottobre è ricorso il suo cinquantesimo anniversario, il 7 ottobre è scattato l’attacco di Hamas. Certo, oggi il contesto è profondamente mutato visto che i maggiori rischi, almeno al momento, non sono per i possibili impatti sui mercati petroliferi - a meno di un allargamento del conflitto - ma su quelli del gas. Il balzo più evidente, infatti, è stato proprio per i prezzi del gas

Del resto, la notizia dei tragici attacchi in Israele non può non riportare alla mente la guerra del Kippur del 1973, se non altro per una singolare coincidenza temporale: il 6 ottobre è ricorso il suo cinquantesimo anniversario, il 7 ottobre è scattato l’attacco di Hamas. Certo, oggi il contesto è profondamente mutato visto che i maggiori rischi, almeno al momento, non sono per i possibili impatti sui mercati petroliferi – a meno di un allargamento del conflitto – ma su quelli del gas. Il balzo più evidente, infatti, è stato proprio per i prezzi del gas che sulla piazza di Amsterdam, il famigerato TTF, nelle prime due sedute utili della settimana dopo l’attacco, che è avvenuto di sabato, sono aumentati di oltre il 36%, mentre quelli del greggio a Londra solo del 4% (si veda l’analisi di Gionata Picchio a pag. 8).

La situazione rimane però particolarmente incerta sia per quanto riguarda gli approvvigionamenti di gas che di petrolio.

Nel primo caso, bisogna tenere presente che Israele nel 2022 ha prodotto oltre 21 miliardi di metri cubi grazie ai giacimenti di Levithan, Tamar e Karish. Parte di questo gas ha preso la via dell’Europa, attraverso l’Egitto, in forma di Gnl, in virtù di un memorandum sottoscritto nel giugno dello scorso anno dalla UE con Israele ed Egitto, volto ad aumentare le esportazioni di gas israeliano verso l’Europa, considerato un tassello importante della strategia europea per ridurre la dipendenza dal gas russo. Ci sono poi altri segnali che dovrebbero preoccupare, a partire dal ruolo dell’Algeria, che dallo scorso anno è diventato il nostro primo fornitore, con una quota vicina a quella che era della Russia e che è stato tra i primi paesi a esprimere “piena solidarietà” al popolo palestinese. Poi c’è il Qatar, anch’esso fortemente critico nei confronti di Israele, che è uno dei tre principali paesi esportatori di Gnl a livello mondiale – il secondo fornitore dell’Europa e il primo dell’Italia – che, tra l’altro, ha recentemente siglato un accordo con la francese TotalEnergies per la fornitura di 3,5 milioni di tonnellate all’anno di Gnl per i prossimi 27 anni. Infine, vale la pena ricordare l’Azerbaijan, che oltre ad essere il nostro primo fornitore di petrolio è anche il terzo per il gas che arriva in Italia via Tap, alle prese con un’altra crisi molto delicata ai fini degli equilibri della regione e cioè quella del Nagorno-Karabakh.

In definitiva, quindi, una situazione geopolitica molto complessa, con tante incertezze che, soprattutto per i Paesi europei, può far prevedere ricadute economiche pesanti sulla bolletta energetica che già lo scorso anno in Italia con 114 miliardi di euro ha raggiunto il record storico. Insomma, oltre all’estate anche l’autunno si preannuncia molto caldo.